Anche l’illecito anticoncorrenziale commesso in altra gara rileva nel giudizio di affidabilità (Cons. St., Sez. V, 6 aprile 2020, n. 2260)
Nell’ambito di una procedura di gara indetta da Consip s.p.a. per l’affidamento dei servizi di pulizia e sanificazione di ambienti di enti appartenenti al servizio sanitario nazionale, due operatori economici venivano esclusi perché in passato parti di un’intesa restrittiva della concorrenza, contraria all’art. 101 T.F.U.E., diretta a condizionare gli esiti di una precedente e distinta procedura di gara.
L’intesa era stata accertata e sanzionata dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato con provvedimento annullato solo parzialmente, in relazione al quantum della sanzione irrogata, dal giudice amministrativo di primo e secondo grado.
I provvedimenti di espulsione erano comunicati all’A.N.A.C., ai sensi dell’art. 8 lett. r) ed s) d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207, per il loro inserimento nel casellario informatico.
I provvedimenti di esclusione, le note recanti comunicazione all’A.N.A.C. e i provvedimenti di escussione della cauzione, medio tempore adottati, erano impugnati dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, che li rigettava.
La sentenza era quindi impugnata dinanzi al Consiglio di Stato, peraltro, anche per violazione e falsa applicazione dell’art. 38, comma 1, lett. f), nonché degli artt. 2 e 46 del d.lgs. n. 163/2006, nonché per violazione dell’art. 45, par. 2. lett. d) della Direttiva 2004/18/Ce, in uno ai principi di tassatività delle cause di esclusione e di favor partecipationis.
Nello specifico, gli appellanti contestavano la possibilità di qualificare l’illecito anticoncorrenziale, commesso nell’ambito di altra gara, come causa di esclusione.
Il giudice di primo grado, infatti, aveva dato risposta positiva al quesito stabilendo che il concetto normativo di «errore professionale» doveva ritenersi esteso a un’ampia gamma di ipotesi, includendo qualsivoglia comportamento scorretto tale da incidere sulla credibilità professionale dell’operatore, e non già solo le violazioni delle norme di deontologia in senso stretto.
L’appello veniva tuttavia rigettato.
Alla luce della pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione europea, IX, 4 giugno 2019, nella causa C-425/18, per «errore grave nell’esercizio dell’attività professionale» di cui all’art. 38, comma 1, lett. f), d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, deve intendersi anche l’intesa anticoncorrenziale conclusa dall’operatore economico al fine di alterare (a suo favore) la libera concorrenza nell’ambito di una precedente procedura di gara.
Inoltre, com’è noto, “l’errore grave nell’esercizio dell’attività professionale” può essere accertato con qualunque mezzo di prova e conseguentemente consente l’adozione, da parte della stazione appaltante, di un atto di esclusione dalla procedura di gara.
Trattandosi di fattispecie “aperta” graverà però in capo alla stazione appaltante, in conformità alle regole generali, un particolare onere motivazionale.
La SA dovrà infatti: a) descrivere le condotte imputate; b) chiarire le ragioni per cui siffatte condotte dovevano reputarsi connotate dal carattere della gravità; c) specificare che i descritti comportamenti qualificavano l’operatore economico come oggettivamente inaffidabile e, comunque, tali da far ritenere irrimediabilmente leso il necessario rapporto fiduciario tra stazione appaltante e concorrente.
Aggiunge il Consiglio di Stato, che il mero tempo trascorso tra i fatti contestati e gli atti di esclusione (nella fattispecie 5 anni) non incide in punto di valutazione della rilevanza dei pregressi errori. L’effetto “purgativo” dell’illecito, infatti, si verifica solo a seguito dell’adozione di misure di self-cleaning (rinnovo degli organi di vertice, in una con la revisione delle prassi aziendali fino a quel momento praticate), le quali hanno effetto pro futuro, ovvero per la partecipazione a gare successive alla adozione delle misure stesse. Infatti, solo dopo l’adozione delle misure di self-cleaning la stazione appaltante può sentirsi al riparo dalla ripetizione di pratiche scorrette ad opera degli stessi organi sociali, posto anche che solo l’atto sanzionatorio remunera una condotta ormai perfezionata in ogni elemento.