Crisi di liquidità: onere tributario e pagamento dei dipendenti (Cassazione Penale, Sez. I, sentenza del 3 agosto 2022 n. 30628)
Con la sentenza in commento, la Corte definisce il giudizio promosso dal Legale Rappresentante di una società che censurava la motivazione della sentenza di secondo grado per aver valorizzato l’elevato volume d’affari della società senza considerare che lo stesso non fosse incompatibile con la crisi di liquidità (anche connessa al mancato incasso di una somma pari a 1.400.000 euro) che aveva imposto la scelta, con conseguente mancanza di dolo, di dare preferenza ai pagamenti diretti a garantire la continuità aziendale e soprattutto a tutelare i 160 dipendenti.
La Corte di Cassazione ha ritenuto infondate le doglianze con le quali il ricorrente deduceva la mancanza di dolo invocando la categoria dell’inesigibilità. Sul punto ha richiamato le argomentazioni delle S.U. n. 37424 del 2013 laddove hanno precisato che la condotta punita dall’art. 10 ter richiede, per la sua integrazione, il dolo generico e, pertanto, la coscienza e volontà di non versare all’Erario le ritenute effettuate nel periodo considerato; somme, queste, che il soggetto deve accantonare ogni qualvolta compie le operazioni imponibili (“Ogni qualvolta il soggetto d’imposta effettua tali operazioni riscuote già dall’acquirente del bene o del servizio l’IVA dovuta e deve, quindi, tenerla accantonata per l’Erario, organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere all’obbligazione tributaria”) in modo da poter adempiere l’obbligazione tributaria.
La crisi di liquidità, in questa impostazione rigorosa, sarebbe invocabile solo adempiendo precisi oneri di allegazione diretti a dimostrare non solo l’aspetto della non imputabilità, a chi abbia omesso il versamento, della crisi economica che ha investito l’azienda o la sua persona, ma anche che tale crisi non sarebbe altrimenti fronteggiabile tramite il ricorso, da parte dell’imprenditore, ad idonee misure da valutarsi in concreto.